lunedì 28 novembre 2011

La crisi economica

Quelli che mi conoscono sanno che sono del tutto estraneo al mondo economico-finanziario e che posso parlare di argomenti del genere solo da dilettante o, se volete, da uomo della strada.
Tuttavia qualche riflessione credo che molti, sollecitati dalla rilevanza che ne danno i media di tutto il mondo, l'hanno dovuta fare su questi temi.
La prima cosa che mi viene in mente dopo tante sedute di borsa altamente negative per tutti i titoli, sia azionari che di debito pubblico, è la seguente: se tutti vendono e pochi comprano, che fine fanno le grandi masse di denaro liquido incassate con le svendite? Come potrebbero essere state impiegate? Si dice che le banche di tutto il mondo tendono a liberarsi dei titoli a rischio default, ma che per i privati e le aziende è sempre più difficile ottenere finanziamenti bancari. E allora dove va questa massa liquida circolante su tutti i circuiti finanziari del mondo? Sembra che anche il circuito finanziario illegale sia (relativamente) in crisi, visto che le sostanze stupefacenti e le armi sono in continuo ribasso, sia per la rarefazione della domanda (anche in questo campo la crisi si fa sentire) sia per l'aumento esponenziale dell'offerta.
Un'ipotesi che ogni tanto si affaccia è quella che le economie più deboli abbiano bisogno di una svalutazione della moneta per mantenere apparentemente integro il sistema di welfare e sostenere la competitività con le economie più forti o con quelle emergenti.
Ricordo, per esempio, che spesso si è scritto che si sollecitava la Cina a rivalutare la sua moneta per limitarne le esportazioni nei paesi più ricchi, ma con risultati nulli. Pare che in Europa si tenda a sollecitare la BCE perché intervenga più incisivamente a sostegno dei Paesi in maggiore difficoltà, anche stampando moneta. Lo stesso sta avvenendo negli Stati Uniti, visto che, nonostante tutti i problemi dell'Eurozona, l'Euro si scambia ancora un terzo sopra la parità con il dollaro.
Ne deduco che l'attuale stato di profonda depressione delle economie, reale e finanziaria, dei paesi tradizionalmente più ricchi, potrebbe servire a mutare i rapporti di forza che la globalizzazione aveva spostato fino al 2008 a favore delle aree emergenti; si tratterebbe, in sostanza, della risposta del capitalismo avanzato nei confronti del resto del mondo, che fa leva su due fattori formidabili: da una parte la contemporanea svalutazione delle monete più forti, dollaro ed euro, che realizzerebbe di fatto quella rivalutazione delle monete nazionali che Cina, Russia, Brasile ed altri non vogliono, e, dall'altra parte, una massa spaventosa di moneta liquida e sempre meno dotata di potere di acquisto, che costringerebbe, presto o tardi, i suoi detentori (in gran parte proprio quelli del cosiddetto BRIC) ad investire in Europa o Stati Uniti e, quindi proprio a dare ossigeno alle economie con le quali sono in competizione.
Sarei felice se qualcuno, meno digiuno di me su questioni così complesse, potesse interloquire, a maggior ragione se lo facesse criticamente.

mercoledì 15 giugno 2011

Gaza vista da un'italiana



Senza nessuna intenzione polemica nei confronti di nessuno, ma solo per la bellezza del testo che commuove, voglio pubblicare questa lettera di saluto inviata agli amici palestinesi da Silvia Todeschini dopo un periodo di volontariato a Gaza.

Ho imparato.

Saluto a Gaza , di Silvia Todeschini.

Quest'anno sono stata a scuola. Ci sono tanti tipi di scuola, alla scuola dove sono stata io non c'erano insegnanti professionisti, ma si imparavano tante cose lo stesso. Ora vi racconto cosa ho imparato. Il programma delle lezioni è stato intenso, ma come tutti è venuto il momento di andare in vacanza per i mesi estivi, perché una delle cose che ho imparato è che c'è bisogno di pause per interiorizzare le lezioni.

Ho imparato che il suono delle zannane è diverso da quello degli f16 che è diverso da quello degli apache. Ho imparato a distinguerli. Non ho imparato a distinguere i sonic boom dalle bombe reali, però. Questo è programma dell'anno prossimo.

Ho imparato il suono dei proiettili, ho imparato che quando sparano in aria si sente un solo botto, quando sparano in terra si sentono 2 botti ravvicinati e quando oltre ai 2 botti si sente un fischio allora comincia ad esserci un problema.

Ho imparato che ci sono proiettili che fanno dei buchi grossi e proiettili che li fanno più piccoli. E che ci sono persone disposte ad essere piene di buchi in nome di quello in cui credono. Che i buchi nelle persone non sempre riescono a fermarle. Di sicuro non riescono a fermare le loro idee.

Ho imparato che non tutti possono resistere 63 anni. Ho imparato che è difficile. Però ho anche imparato che è possibile, ed il fatto che sia reale rende la vittoria vicina.

Ho imparato che non si può rifiutare un bicchiere di tè. Ho imparato che rifiutarlo è una grave offesa.

Ho imparato che se una granata da un carro armato israeliano uccide tua madre e tua sorella, te sei ferita e a 16 anni con il filo di voce che ti è rimasto affermi: “neanche nei sogni di israele ce ne andremo dalla nostra terra”, in Palestina sei una ragazza normale.

Ho imparato che la resistenza è fatta di tante cose, è una pratica quotidiana. Ho imparato che se non resistiamo assieme ognuno con i suoi mezzi non vinceremo mai. Ho imparato che potremo vincere solo se saremo uniti. Non ho ancora imparato come si fa a essere davvero tutti uniti, anche questo è programma dell'anno prossimo.

Ho imparato che il fosforo bianco lascia cicatrici che durano per sempre, che anche le bombe spesso rendono impossibile una vita normale dopo. Ho imparato che le macchie di sangue, anche se non è il tuo, fanno fatica ad essere lavate...in tutti i sensi.

Ho imparato che se la mia vicina o il mio vicino non sono liberi allora non lo sono nemmeno io, perché la libertà è una pratica collettiva.

Ho imparato che avere qualcuno che ascolta i tuoi problemi è importante. E non potere parlare è tremendo.

Ho imparato che ci sono luoghi, come qui a Gaza, dove i colori sono più colorati, il nero è più scuro ed il giallo è più brillante, il rosso più intenso e la gioia più energica, la tristezza più tremenda, la forza più tenace. Ho imparato che il nostro mondo occidentale vive di gradazioni di grigio, e che è tutto avvolto in un involucro di plastica protettiva.

Ho imparato che un amico morto ammazzato non è una cosa facile da superare. Però ho anche imparato che anche quando credi che non ce la puoi più fare, quando pensi che “starò stesa qui per l'eternità, non riuscirò più ad affrontare il mondo fuori”, anche in questi casi con un po' di pazienza la forza si può trovare.

Ho imparato che anche la forza si può imparare. Ho imparato che non esiste un limite oltre il quale non ti puoi spingere. Però ho anche imparato che ci vuole molta pazienza per superarli ad uno ad uno questi limiti.

Ho imparato che si può avere paura di morire. Ma è molto peggio quando si ha paura di vivere. Perché la morte dura un istante mentre la vita dura una vita intera.


domenica 3 aprile 2011

La CEI e l'accoglienza agli immigrati

E' notizia dei giorni scorsi che la CEI, con la collaborazione della Caritas e di 98 Diocesi italiane, avrebbe predisposto in varie regioni d'Italia un alloggio ed assistenza umanitaria per 2.500 immigrati tra quelli provenienti dalla Tunisia.
La notizia è apprezzabile ed è stata certamente apprezzata da tutti i cattolici degni di questo nome, che certamente non faranno mancare, nella prossima dichiarazione dei redditi, la scelta dell'8 per mille in favore della nostra benemerita Chiesa cattolica.
Peccato che la "predisposizione di alloggio di accoglienza idoneo ad agevolare materialmente l'ingresso illegale o la permanenza di immigrati clandestini" costituisca reato e precisamente quello previsto dall'art. 12, comma 5 del ddl 25.7.1998 n. 286, come modificato dall'art. 11 della legge 30.7.2002 n.189, punito con la reclusione fino a quattro anni e la multa fino a 15.493 euro (Cass. Sez. 3, n. 20673 del 9.3.2004).
Come si dice, quello che conta è l'intenzione e questa volta l'intenzione era certamente ottima.
Resta un dubbio: possibile che la CEI non si sia preoccupata di consultare un legale prima di lanciare la proposta?
E se lo avesse consultato e nonostante tutto avesse proseguito nella sua intenzione umanitaria, siamo certi che l'unico scopo che voleva perseguire era l'assistenza ai poveri immigrati?

giovedì 17 marzo 2011

Berlusconi e gli Italiani di Josè Samarago (Il Quaderno; Ed. Bollati Boringhieri; Settembre 2008 pag. 26-27)


Per il grande anniversario che oggi festeggiamo ho pensato di rileggere quello che nel settembre 2008 scriveva su di noi il grande Josè Saramago, Premio Nobel per la letteratura nel 1998.

Nel caso specifico del popolo italiano .... è dimostrato come l'inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte manifestata, sia indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale. In effetti, nel paese della mafia e della camorra, che importanza potrà mai avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente? In un paese in cui la giustizia non ha mai goduto di buona reputazione, che cosa cambia se il primo ministro fa approvare leggi a misura dei suoi interessi, tutelandosi contro qualsiasi tentativo di punizione dei suoi eccessi ed abusi di autorità?

Eça de Queiroz diceva che, se facessimo circolare una bella risata intorno ad una istituzione, essa crollerebbe, ridotta in pezzi. Questo, un tempo. Che diremo del ... diktat di Berlusconi contro la proiezione del film W. di Oliver Stone? Fin lì sono arrivati i poteri del Cavaliere? Come è possibile che si sia commesso un tale arbitrio, sapendo per di più che, per quante risate ci potessimo fare intorno al Palazzo, questo non cadrebbe? Giusta è la nostra indigrazione, pur dovendo fare uno sforzo per capire la complessità del cuore umano. W. è un film che attacca Bush, e Berlusconi, uomo di cuore come può esserlo un capo mafia, è amico, collega, fautore dell'ancora (siamo nel 2008 n.d.r.) presidente degli Stati Uniti. Sono fatti l'uno per l'altro. Quel che non sarà ben fatto è che il popolo italiano accosti una quarta volta alle natiche di Berlusconi la sedia del potere. Non ci sarà allora, risata che ci salvi.